22 febbraio 2012

Il Papa invita la Sua Chiesa ad un bagno di umiltà

Spenti i riflettori sulle cerimonie, i vecchi e nuovi cardinali tornano alle loro sedi o ai loro uffici curiali. Dal concistoro, e dalla giornata di riflessione che lo ha preceduto, è emerso il protagonismo di una figura come quella del vulcanico arcivescovo di New York, Timothy Dolan, al quale il Papa ha affidato la relazione introduttiva sulla nuova evangelizzazione. Anche se considerata molto «italiana» dai porporati stranieri, la storia dei «veleni» vaticani e della fuga di documenti ha tenuto banco nei capannelli e negli scambi a tu per tu. I cardinali hanno cercato di analizzare ciò che sta accadendo, ma si sono dovuti fermare alle supposizioni: scontro tra vecchia e nuova guardia, lotte in vista della successione del cardinale Tarcisio Bertone, tensioni che hanno sullo sfondo persino il futuro conclave, scontri interni al mondo della finanze vaticane o di un certo sottobosco affaristico italiano dal quale qualche prelato non riesce a prendere le distanze. In molti hanno concluso che si tratta di un malessere comunque legato alla gestione della Segreteria di Stato, auspicando – per lo più sottovoce – segni concreti di cambiamento. Le autorità d’Oltretevere sperano che le polemiche si plachino: soltanto allora, fra qualche mese, sarà possibile che il Pontefice prenda in considerazione la possibilità di sostituire il Segretario di Stato oppure di affiancargli un pro-segretario. Anche se al momento nessuna decisione in questo senso è stata presa. Benedetto XVI, incontrando cardinali in concistoro, è entrato nella vicenda. Ma lo ha fatto a modo suo, senza citare i «vati-leaks», le fughe di documenti, le «talpe» e i registi dell’operazione che ha screditato la Segreteria di Stato. Ha voluto invece proporre ai porporati un’immagine di Chiesa imparagonabile rispetto alle lotte di potere, agli affari, alla ricerca della gloria e al carrierismo. Le sue parole sono risuonate come una sferzata sul collegio cardinalizio. Di fronte alle denunce di episodi di corruzione dell’ex segretario generale del Governatorato Carlo Maria Viganò; ai documenti sulle tensioni interne circa le finanze vaticane; agli appunti sui presunti complotti, e soprattutto al fatto che queste carte siano uscite dagli archivi, il Papa non ha mostrato di considerare tutto questo come un attacco proveniente da nemici esterni contro la cittadella dei «puri». Ai cardinali, sabato mattina, ha detto che «Gesù si presenta come servo, offrendosi quale modello da imitare e da seguire». Ha citato loro l’esempio dei due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, che inseguivano «ancora sogni di gloria accanto a Gesù», chiedendo di sedere alla sua destra e alla sua sinistra. Il messia aveva risposto loro alludendo al calice della sua della passione: «Il servizio a Dio e ai fratelli, il dono di sé: questa è la logica che la fede autentica imprime e sviluppa nel nostro vissuto quotidiano e che non è invece lo stile mondano del potere e della gloria». E domenica ha ricordato i porporati che «la Chiesa non esiste per se stessa, non è il punto d’arrivo, ma deve rinviare oltre sé, verso l’alto, al di sopra di noi. La Chiesa è veramente se stessa nella misura in cui lascia trasparire l’Altro - con la “A” maiuscola - da cui proviene e a cui conduce». Poco più di un anno fa, parlando dello scandalo della pedofilia e delle campagne mediatiche contro il Vaticano, il Papa aveva confidato al giornalista Peter Seewald: «Sin tanto che si tratta di portare alla luce la verità, dobbiamo essere riconoscenti... I media non avrebbero potuto dare quei resoconti se nella Chiesa stessa il male non ci fosse stato. Solo perché il male era dentro la Chiesa, gli altri hanno potuto rivolgerlo contro di lei». Con i discorsi di sabato e domenica ai cardinali, Benedetto XVI non ha dunque negato la crisi, lo sbandamento – apparente o reale – della curia e la mancanza spesso di una regia in Segreteria di Stato. Ha cercato di relativizzare tutto questo, richiamando implicitamente cardinali e collaboratori a non ritenersi protagonisti del «governo» o strateghi della comunicazione, magari prendendo a pretesto le attuali, oggettive difficoltà per l’elaborazione di nuovi futuri programmi di pontificato. Li ha invitati a un bagno d’umiltà, dicendo loro che la Chiesa non può liberarsi da se stessa del male che è in lei, ma deve lasciarsi condurre dall’«Altro con la “A” maiuscola». Qualcuno, ascoltandolo, può aver pensato a un discorso teologico. Per Benedetto XVI si tratta invece di un modello concreto per esercitare l’autorità e il governo degli affari ecclesiastici.
(di Michele Brambilla, tratto dalla "Stampa")

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