22 febbraio 2012

Il mercato nero della maternità

La direttrice generale ha detto sì, la Rai toglierà quella “clausola maternità”, come ormai è squallidamente nota, dai contratti dei giornalisti autonomi del servizio pubblico. Lorenza Lei ha però aggiunto: “Salva la normativa vigente, che non è nella disponibilità della Rai poter cambiare”. Tradotto: la Rai, la più grande azienda editoriale in Italia, non citerà più esplicitamente la maternità (insieme con infortunio e malattia) tra le cause di risoluzione immediata e non onerosa per il datore di lavoro di un contratto; ma il contratto si risolverà ugualmente, i collaboratori atipici continueranno a non avere sopra la testa lo Statuto dei lavoratori, l’Inps continuerà a non sganciare, per le donne in attesa di un figlio ma non assunte, i suoi civili assegni di maternità. E’ per questo che il fattaccio della “clausola maternità”, al netto degli opportunismi politici di qualche dichiarazione – e soprattutto al netto di un certo tasso di insincerità generale, che trasforma la gravidanza, cioè i bambini da aiutare a far nascere, in un grave problema, ma esclusivamente sotto il profilo sindacale – non dovrebbe chiudersi così. Il caso Rai ha soltanto dimostrato, se ce ne fosse stato bisogno, che si può persino arrivare a scrivere su un contratto che la maternità è un problema, tanta è l’assuefazione verso la pratica. La soluzione sta più in alto, cancellare una clausola scritta su un foglio serve a poco, tanto più se la realtà, poi, continua a confermarsi uguale a prima.
Soltanto un intervento del ministro del Lavoro, Elsa Fornero, può essere determinante. Lo sanno bene le 188 donne che per domani hanno organizzato un giorno di mobilitazione nazionale per il ripristino della legge 188, quella legge che impediva la firma delle dimissioni in bianco. Quella norma è stata abolita dalla stessa maggioranza che c’è ancora oggi in Parlamento, non sarà quindi semplice nemmeno per il ministro Fornero, che pure è donna, madre e d’accordo sul merito, inserire la legge nella riforma del lavoro di cui si discute. Non sarà semplice, ma un segnale forte andrebbe dato, e in fretta. Si potrà aiutare il ministro con la mobilitazione generale, con la voce unita di tutte le parlamentari donne, non importa di quale partito, con un risveglio della coscienza collettiva e non solo femminile, magari. Si potrà aiutare, sì. Ma poi dovrà essere lei a imporsi con determinazione. E’ semplicemente inaccettabile che la maternità sia e resti soltanto un problema, uno svantaggio, una malattia, una minorazione: sia per un datore di lavoro sia per un’azienda sia per uno stato. E’ inaccettabile. Punto. (tratto da "Il Foglio")

Nessun commento: