09 marzo 2011

La mia scuola privata, spalancata sul bene del sapere ben più di quella pubblica

Strano modo di procedere quello di Paola Mastrocola, di cui pure apprezziamo la passione pedagogica: denuncia la decadenza della scuola pubblica e poi difende la stessa a spada tratta in nome della resistenza democratica.

Ma lo spirito pubblico che sta tanto a cuore alla prof torinese e ai severi progressisti democratici cofirmatari dell’appello di Repubblica, si coltiva benissimo anche studiando in una scuola privata. Il ministro Gelmini, ormai, parla solo di scuole statali e di scuole paritarie, sussumendo entrambe nella categoria del pubblico. Giusto. Ai miei tempi, invece, c’erano la scuola pubblica e la scuola privata parificata. E io che dall’asilo alla maturità ho sempre frequentato scuole private, e anzi ho dovuto farlo per motivi politici, vi garantisco che per nutrire il senso dello stato, l’adesione spontanea al civismo, il rispetto dei valori della democrazia liberale non ho avuto bisogno di farmi indottrinare da un professore barbuto, da un militante antifascista duro e puro che leggeva il manifesto, teneva lezione sull’“Antologia di Spoon River”, consigliando ai suoi scolari la lettura di don Milani, se andava male, o degli scritti giovanili di Karl Marx, se andava bene.

I miei professori erano suore. A cominciare da suor Maria Cecilia, gli occhi azzurri e il viso butterato dall’acne giovanile. Era una Piccola Ancella del Sacro Cuore e mi ha insegnato a leggere, a scrivere, a fare di conto, a perdermi con la fantasia, dopo aver studiato gli antichi egizi sul sussidiario, sognando di giocare ai faraoni, nelle buche di sabbia scavate dalla pioggia nella pineta di Monte Mario. A dieci anni, trattandosi di scegliere le medie, mi decisi per le Ancelle del Sacro Cuore, perché molte delle mie compagne di gioco andavano lì. Una scuola bellissima, che oggi non esiste più. Anni fa, il villino in liberty e gli edifici moderni che ospitavano le aule della media, dei due licei, classico e linguistico, le camere delle interne, poiché era anche un collegio, e quelle delle suore vennero venduti insieme al bel giardino su Villa Balestra. Da allora varie generazioni di professioniste donne, giudici, avvocati, scrittrici, manager, persino un’astronauta, la prima in Italia (Barbara Negri) e molte madri di famiglia passano davanti al cancello chiuso dei Monti Parioli, con una stretta al cuore, perché la loro scuola non c’è più. Fu lì infatti che negli anni Settanta frequentarono il liceo parificato, studiando Kant e le guerre di religione con madre Giuditta Federici, la protesta di Leopardi secondo Walter Binni con madre Dolores de Bernardiis, la struttura del Dna con la mitica Puglielli, che era laica, e l’“Alcesti” con Nicola Santoro, grecista pugliese, anche lui laico, e le leve di terzo tipo con Silvia Spaziani, e Botticelli e Sironi con Francesca Romana De Marco, “l’unica vergine di Roma”, come lei stessa si professava, indifferente ai nostri scherzi feroci. Fuori da quel giardino delle bambine viziate c’era la contestazione, ma per noi era la festa della matricola, gli scioperi, ma per noi erano goliardie; c’era mio fratello Berto, che non poteva entrare a Mamiani, e una mattina si trovò fra i “fasci” ostaggio di un gruppo di “compagni” che minacciosi roteavano in aria le catene della moto, col casco calato sul viso. Per questo io, unica figlia femmina di un paria, neofascista ma parlamentare del Msi, dovendo scegliere il ginnasio venni tenuta lontana dalla scuola pubblica. In compenso, imparai un metodo, il gusto e la fatica di studiare, l’allegria di conoscere. A scuola nostra, l’unica politica era non fare politica. Mai decisione si rivelò più liberatoria.

(di Marina Valensise)

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