28 gennaio 2011

La sfacciataggine dei laicisti

Se noi “atei devoti” diciamo che forse bisognerebbe salvare il matrimonio tra uomo e donna dalla legislazione eticamente indifferente di Zapatero, che ha abolito i nomi di marito e moglie e di padre e madre in favore di un più neutrale progenitore A e progenitore B, precisiamo subito che si tratta di critica culturale e civile, e che l’incontro con le posizioni del clero cattolico e del magistero ecclesiale su quel terreno si risolve, distinguendo kantianamente peccato e reato, e coniugando con molte sfumature ethos e legge. Lo stesso facciamo quando, da laici, critichiamo l’indifferenza morale all’aborto, la kill pill, l’eugenetica del figlio sano, la fabbricazione della prole, tutti fenomeni una punta più rilevanti, in senso pubblico, di alcune cene nella villa di Arcore rese note da quella che il cardinal Bagnasco ha eufemisticamente chiamato, con scandalo dei benpensanti laicisti, “una ingente mole di strumenti di indagine”.
Quando tocca a loro, ai laicisti, ragionare sull’ethos privato di un uomo pubblico che considerano nemico, Berlusconi, lo fanno invitando esplicitamente la chiesa all’ingerenza, alla scomunica, alla condanna iperpolitica. Criticando la gerarchia perché sceglie una posizione di equilibrio e un modo di ragionare laico e incline alle distinzioni, insinuano interessi obliqui e patti col demonio del potere per chi non faccia vibrare il bastone canonico contro il reprobo. Pubblicano su MicroMega e su Repubblica invettive moraleggianti di vescovi emeriti, indicono crociate clericali (con l’eccezione dei loro unici moralisti veri, Serra e Sofri), mentre i monaci da sbarco scoprono sulla Stampa di Gianni & Lapo il peccato della lussuria. E questo incredibile battage neoclericale, questo lungo comizio integralista, lo chiamano profezia.
(tratto da "Il Foglio" del 26/01/2011)

20 gennaio 2011

Quei bacchettoni feroci e senza fede


È da un pezzo che viviamo immersi in un fetido intruglio di ferocia e sentimentalismo, crudeltà e buonismo, perfidia e melensaggine. Del resto il tratto principale dello spirito del nostro tempo potrebb’essere proprio la sua inesauribile capacità di alternare e mescolare in modi sempre più inverecondi, nei suoi diversi menu, tutte le possibili forme dell’umana fasullaggine. Questa sua vocazione falsaria il genio del nostro tempo la sta oggi esprimendo, ovviamente, un po’ dappertutto nel mondo, producendo ovunque effetti più o meno devastanti, ma in nessun altro Paese della terra questi effetti sono forse orripilanti come quelli che si registrano oggi nel nostro. In nessun altro luogo del pianeta è infatti possibile assistere, oggi, a uno spettacolo ributtante come il trescone persecutorio che da ormai tre lustri sta infuriando, in forme sempre più micidiali, intorno a un uomo che agli occhi dei suoi linciatori ha fin troppo manifestamente la sola colpa di essere un geniale e lieto beniamino della vita. Ma quale sarà mai la vera radice di quella passione letale che è l’inestinguibile odio che corrode e divora l’anima di questi poveri ossessi, istigandoli a tornare senza posa a sfregiare, con il loro dissennato accanimento politico, mediatico e giudiziario, l’immagine stessa del nostro Paese nel mondo? Non basta parlare d’invidia. Non basta parlare di rabbia. Non basta parlare di rancore e di volontà di vendetta. Occorre parlare anche di disperazione e di empietà. Nonché, anzi forse soprattutto, di feroce bacchettoneria.
Questi boriosi sbandieratori di questioni etiche e morali sono infatti in primo luogo dei disperati bacchettoni. Bacchettoni – va da sé – senza fede, senza nessuna fede, salvo, naturalmente, quella che essi hanno nella loro buffa pretesa di essere, nonostante tutte le severe bocciature impartite loro dalla storia, la crème spirituale del paese, se non del mondo. Nulla di più ridicolo. Eppure proprio in questa bacchettoneria senza fede è racchiuso forse tutto il sugo di quella micidiale ideologia, sopravvissuta al crollo delle sue sorelle e cuginette comuniste e nazifasciste, che è la superstizione laicista. La quale in effetti consiste appunto nell’illusione di poter recidere ogni legame fra l’etica e il sacro, la morale e il sentimento religioso, l’Europa e le sue radici cristiane, il senso della giustizia e quello della giustizia divina. Illusione ormai confutata dagli effetti micidiali che ha prodotto negli ultimi due secoli, e tuttavia ancora oggi capace, da noi, di produrre sciami di demoni assolutamente identici a quelli così descritti da Nietzsche nella sua «Genealogia della morale»; «Noi soltanto siamo i buoni, i giusti - dicono costoro, - noi soltanto siamo gli uomini di buona volontà». Si aggirano tra noi come rimproveri viventi. Oh, quanto costoro sono pronti, in fondo, a far espiare! Quanta è la loro sete di diventare carnefici! Pullulano tra loro i bramosi di vendetta travestiti da giudici, che hanno sempre in bocca una bava avvelenata, sempre con una smorfia sulle labbra, sempre pronti a sputare su tutto quanto non ha l’aria scontenta e va di buon animo per la sua strada. Fra costoro non manca neppure quella nauseabonda genia di vanitosi, aborti di menzogna, che mirano a fare da «anime belle», e a esibire sul mercato, avvolta in versi e in altri pannolini, la loro malconcia «sensualità come purità di cuore: la genia degli onanisti morali».

(di Ruggero Guarini- tratto da "Il Tempo")

16 gennaio 2011

Quando Dio vale meno di un gatto


Mi pongo da alcuni giorni una domanda: ha ancora senso al giorno d’oggi scandalizzarsi?
Secondo lo Zingarelli, il termine significa indignarsi o suscitare indignazione, sconvolgersi, presumendo con ciò che vi sia un principio su cui fondare il proprio comportamento e, di conseguenza, il violarlo è considerato scorretto, sconveniente o maleducato. Ma nella società attuale scandalizzarsi non ha più senso, almeno per i più. Tutto è ormai scandalo e, per una semplice deduzione, nulla, ovviamente, lo è più.
Oggi, si dice, c’è la voglia di trasgredire, ognuno fa quello che crede specialmente per rivendicare una propria personalità, soprattutto tra i più giovani. E così avviene che in una trasmissione televisiva, “Il grande Fratello”, un ragazzo, con tanto di madre che fa la catechista, bestemmi in diretta davanti alle telecamere, ottenendo così il suo minuto di pubblicità.
Come altre volte è capitato per altre trasmissioni, per il concorrente si preparano le valigie per uscire dal gioco, ma ecco il colpo di scena salvifico: sempre in diretta dagli studi Mediaset, il giovane viene assolto, dopo un vivace dibattito, dal giornalista Alfonso Signorini, dalla mamma presente in studio – che ripetiamo è anche catechista - ed ovviamente dal pubblico, con la consacrazione definitiva della Marcuzzi.
Il ragazzo rientra nella Casa perché in fondo non è successo nulla di grave, diciamolo pure, una bestemmia può capitare a tutti di pronunciarla: siamo o no liberi di fare quel che ci pare? Come afferma qualche “illuminato” sociologo, la bestemmia è anche una forma per comunicare il proprio disagio agli altri ed allora vai con la bestemmia, la nuova forma di dialogo tra le persone, tanto Dio forse c’è, ma sicuramente non si vede, almeno con gli occhi.
Ma non è finita qui, anzi se c’è un perdono deve essere per tutti, nessuno escluso, e così per accontentare lo show bussines, un concorrente che lo scorso anno aveva “esternato il proprio disagio” con una simpatica bestemmia, è stato riammesso nella Casa. Bella trovata! In questo modo la parola blasfema è ormai derubricata, non certo come peccato grave per la Chiesa (credo che di ciò nulla importi ai partecipanti al gioco) ma almeno come atto di maleducazione.
Non c’è che dire, un bell’esempio di valori che se ne vanno. Poi ci lamentiamo se sui mezzi pubblici, ad esempio, salgono frotte di ragazzini che strillando e ridendo bestemmiano allegramente. Ma è solo il loro modo di esprimersi, ormai lo sappiamo che lo fanno anche i grandi in televisione e dunque offendere Dio, per un sillogismo un po’ stiracchiato, è una cosa lecita!
Tempo fa salii con mia moglie su di un autobus e ci capitò di riprendere un ragazzino che con i suoi amichetti bestemmiava senza neanche accorgersi di quello che diceva. Morale: non solo il ragazzino ci ha mandati a quel paese, ma altre persone presenti se la sono presa con noi perché eravamo dei bacchettoni. Ancora, per fortuna, non c’era stata la puntata incriminata del Grande Fratello: pensate come ci avrebbe risposto oggi quel ragazzino!
A questo punto sento il dovere di spezzare una lancia a favore di un certo Bigazzi, il quale è stato estromesso da una trasmissione televisiva di successo che si occupa di cucina perché aveva raccontato come in tempo di guerra dalle sue parti si mangiavano i gatti, fornendo anche la ricetta. Subito è scattato lo scandalo di animalisti e di telespettatori infuriati che vedevano già il loro gattino in salmì. Non dico che non fosse giusto, ma nessuno che io sappia si è scandalizzato con pari vigore, salvo parte della stampa cattolica, per la bestemmia in televisione
.
Ma volete mettere sullo stesso piano Dio con il gatto di casa? Non scherziamo, se bestemmiamo Dio è un modo, come abbiamo già accennato, per affermare il proprio disagio, forse per aprire un dialogo con gli altri che altrimenti sarebbe difficile; ma con il gatto la situazione è ben più grave, è un animale e, come tale, ha i suoi diritti inalienabili e va salvaguardata la sua dignità. Chi è un retrogrado come me è avvisato.
(di Antonello Cannarozzo)

14 gennaio 2011

Bio testamenti comunali, un flop annunciato

Quanti sono i testamenti biologici depositati presso gli uffici comunali in giro per il nostro Paese? Una prima fonte di riferimento è la cartina dell’Italia compilata dall’Associazione radicale Luca Coscioni, con i Comuni che gestiscono i registri, le raccolte firme in corso, le delibere in fase di discussione. Un ginepraio in cui risulta difficile tenere il passo dei cambiamenti e delle novità, tanto che facendo una semplice verifica telefonica con i Comuni – ad esempio quello di Piacenza – si scopre che lo stesso sito dei Radicali non è aggiornato (e che il registro, alla fine, non è stato attivato). In ogni caso, sentendo le amministrazioni promotrici dei registri da Nord a Sud, emerge un quadro con regole diverse in ciascuna realtà, accomunate però da un’adesione alquanto bassa.
Discorso bloccato per quanto riguarda Torino, nonostante l’approvazione in giunta a novembre. «Il registro non è ancora attivo – spiega Giovanni Maria Ferraris, assessore ai Servizi civici – dopo la circolare interministeriale che stoppa i testamenti biologici e la risposta critica dell’Anci, la giunta ha deciso di sospendere l’applicazione della delibera, in attesa di un approfondimento giuridico». A Cagliari e provincia (oltre 560 mila abitanti, un terzo dei sardi), spiega Angela Quaquero, assessore provinciale alle Politiche sociali, si sono avvalsi di quest’opportunità «una cinquantina di persone, in genere motivate e preparate. Non è un bisogno di massa, certo, ma un diritto in più». A Genova (oltre 600 mila abitanti) il Comune da novembre 2009 ha raccolto circa 170 testamenti. «All’inizio erano in tanti a interessarsi, poi il flusso si è stabilizzato», racconta Romani, dell’ufficio competente. A Calenzano (16 mila abitanti), in provincia di Firenze, Alessandro Landi, responsabile ai servizi demografici, spiega che dopo la circolare ministeriale «non proponiamo più un modello prestampato di testamento, come facevamo prima. Continuiamo però a tenere un registro su cui annotiamo le dichiarazioni di chi ha fatto i testamenti, ma non li custodiamo né conosciamo il contenuto». Da luglio 2009 ne hanno raccolti circa 50.
La recente circolare dei ministri Sacconi, Maroni e Fazio ha fatto per ora archiviare il registro a Cattolica (Forlì-Cesena), dov’era stato istituito il 1° ottobre 2010. «In due mesi, comunque, non avevamo avuto nessuna richiesta, tranne una domanda di informazioni da parte di un signore insieme alla madre», racconta Stefania Gianoli, responsabile dell’Ufficio relazioni con il pubblico. Allo stesso modo, il Comune di Palermo fa sapere che «non si è dotato di un registro dei testamenti, anche in considerazione dei contenuti della nota».
Testamento biologico «congelato» anche a Bologna, dove secondo il commissario Cancellieri è meglio occuparsi di cose più «urgenti».
In alcuni altri Comuni di dimensioni medie e piccole i testamenti biologici realmente attivati sono mosche bianche. È il caso di Alba (provincia di Cuneo, 31 mila abitanti), dove da marzo 2010 «abbiamo raccolto solo due dichiarazioni», dice per il Comune Bruna Vero. A Barile (Potenza), unico Comune della Basilicata ad aver lanciato il registro, Mario Giuliano confida che da giugno 2009 «solo tre persone ci hanno portato il testamento. Quasi me ne vergogno».
Una ventina le dichiarazioni anticipate di volontà raccolte dal maggio 2010 dal Comune di Arezzo (100 mila abitanti). Più consistenti i numeri di Roma, dove i testamenti vengono raccolti dai Municipi X e XI sono rispettivamente 900 (da aprile 2009) e 200 (da ottobre 2009), ma per una popolazione urbana di oltre due milioni e mezzo di abitanti.
«Vincoliamo la dichiarazione di fine vita a un atto notorio sostitutivo, per garantire la copertura giuridica», dice Sandro Medici, presidente del Municipio X. «Già due persone ce li hanno richiesti, per farli valere davanti al proprio medico». Peccato che, in assenza di una legge nazionale, non valgano nulla.
(di Fabrizio Alessandri- tratto da "Avvenire")

09 gennaio 2011

Ma Messori sta con il Papa o con il Grande Imam?

Non desidero polemizzare con Vittorio Messori, nutrendo per lui amicizia e stima. Purtroppo però a volte nella polemica si è trascinati nostro malgrado, per un dovere di testimonianza alla verità: così anni fa insorsi per i giudizi (che ritenni non generosi) espressi da Messori su Giovanni Paolo II, subito dopo la sua morte. E oggi mi sento costretto a farlo per il dovere di verità che abbiamo verso i martiri cristiani che sono stati massacrati anche in questi giorni. “Amor mi mosse che mi fa parlare”: l’articolo di Vittorio uscito ieri sul Corriere della sera davvero fa un pessimo servizio ai cristiani. Ma soprattutto fa un pessimo servizio alla verità storica.
Lasciamo perdere le discutibilissime escursioni nel VII secolo, sull’invasione araba dell’Egitto e del Nord Africa. Ho cercato ansiosamente nel testo messoriano almeno una frase che mettesse in rilievo il cuore del problema (come benissimo lo enunciò il Papa a Ratisbona), cioè l’irrisolto rapporto dell’Islam con la violenza, questione certamente nota a Messori, questione che ha orrende ricadute non solo sui cristiani, ma sui rapporti dei musulmani con tutte le altre religioni e civiltà, oltreché su varie questioni sociali (penso alle condizioni delle donne).
Ma purtroppo questa frase non l’ho trovata. Una condanna senza appello si trova nell’articolo, ma non è rivolta contro l’irrisolta commistione fra Islam e violenza. No. La condanna sembra toccare al “sionismo” (accusato di “violenta intrusione”), sionismo che non c’entra assolutamente niente con l’attentato alla cattedrale cristiana di Alessandria (forse Messori qui intendeva descrivere l’ideologia islamista, ma non sembra dissociarsi da quel giudizio sul sionismo). Fra i cattivi senza attenuanti Messori cita pure il solito Bush (con gli amerikani). Anche i cristiani sono da lui rappresentati in modo tutt’altro che lusinghiero.
Quello con cui invece l’intellettuale cattolico concorda è il Grande Imam del Cairo, Al Tayyeb, secondo cui l’attentato “non è un attacco ai cristiani, ma all’Egitto intero”. Ora, questo Ahmed Al Tayyeb è il tipo che ha accusato il Papa di “ingerenza” negli affari interni egiziani quando il Pontefice ha condannato la strage di cristiani alla messa del 1° gennaio.
Questo Grande Imam è anche il tipo che sempre all’indomani della strage, intervistato dal Corriere della sera, di nuovo – come ha notato Ippolito sullo stesso Corriere – “si è sentito in dovere di rimbeccare il Papa che chiedeva protezione per i fedeli in Oriente”, sostenendo testualmente che tale “appello del Pontefice alla difesa dei fedeli può creare malintesi”.
Il Grande Imam è arrivato fino al punto di esigere dal papa “un gesto distensivo verso i musulmani, come se sull’altra sponda del Mediterraneo a essere minacciati fossero i seguaci del Corano”.
Questi rilievi critici sono sempre di Ippolito. E stupisce che non si trovino invece nell’editoriale di Messori uscito ieri. Egli non fa alcun riferimento critico a quelle incredibili dichiarazioni del Grande Imam. Anzi, lo cita per dire che in quella frase (sull’attentato come attacco all’Egitto) “non ha torto”.
Personalmente invece ritengo anche quella una frase molto ambigua.
Par di capire che, secondo Al Tayyeb, l’Islam, anche egiziano, sarebbe una meraviglia e i terroristi sarebbero un corpo estraneo che viene a far traballare questo idilliaco mondo musulmano e lo stato egiziano.
E da cosa sarebbe provocata la violenza di tali terroristi? Ecco la risposta che Messori dà (assai condivisa fra i musulmani) dopo aver avallato la frase dell’Imam: “Tutti i governi di tutte le nazioni islamiche sono sotto lo tsunami che ha avuto come detonatore l’intrusione violenta del sionismo che è giunto a porre la sua capitale a Gerusalemme, città santa per i credenti quasi pari alla Mecca. Ira, umiliazione, senso di impotenza hanno dato avvio a un panislamismo che intende demolire le frontiere e i regimi attuali per giungere a un blocco comune e ferreo di fedeli nel Corano. Una sorta di superpotenza che possa sfidare persino gli Stati Uniti, padrini di Israele”.
A chiunque appare evidente che il teorema di Messori non sta in piedi: se il problema fosse davvero il sionismo, perché massacrano i copti che sono cittadini egiziani sempre stati fedeli allo stato egiziano?
Se il problema fosse davvero la fondazione dello stato di Israele, nel 1948, perché da quattordici secoli l’Islam cerca di conquistare e sottomettere i paesi cristiani (sono arrivati fino a Vienna, fino alla Sicilia e fino ai Pirenei, prima di essere respinti)? E’ noto del resto che certi gruppi islamisti si sentono orfani della Palestina tanto quanto si sentono defraudati dell’Andalusia e magari domani della Sicilia: che facciamo, gliele ridiamo? Chiedo ancora: perché il genocidio turco degli armeni cristiani (il primo del Novecento) avvenne decenni prima della nascita di Israele?
E perché, infine, i “Fratelli musulmani” esistono dal 1928-1929?
E perché sono riemersi con fanatismo solo negli anni Ottanta anziché nel 1948? E potrebbe spiegare, Messori, come e perché il regime islamista di Karthoum, in Sudan, per venti anni, dal 1980, ha massacrato i cristiani e gli animisti neri del Sud, provocando una strage di due milioni di vittime?
Glielo dico io: perché rifiutavano l’imposizione della sharia, non perché – migliaia di chilometri lontano da loro – esisteva lo Stato di Israele.
E perché, all’altro capo del mondo, il regime indonesiano ha invaso Timor est e ha massacrato un’enorme porzione della popolazione cristiana di Timor est, senza che nessuno – né Indonesia, né abitanti di Timor est, si fossero mai interessati a Israele e Palestina?
La verità è ben altra. Sentiamola da due storici (peraltro non cattolici). “Per quasi mille anni” ha scritto Bernard Lewis “dal primo sbarco moresco in Spagna al secondo assedio turco di Vienna, l’Europa è stata sotto la costante minaccia dell’Islam”. Samuel Huntington ha ricordato inoltre che “l’Islam è l’unica civiltà ad aver messo in serio pericolo e per ben due volte, la sopravvivenza dell’Occidente”. Stante questa duratura utopia imperialistica dell’Islam, dove religione e politica sono una cosa sola, il grande trauma del mondo islamico è stato rappresentato dalla fine dell’Impero Ottomano, dopo la prima guerra mondiale.
Quello è stato il detonatore. Poi, dalla decolonizzazione, le élites arabe hanno puntato su movimenti politici laici, di ideologia socialista e/o nazionalista. Questi regimi sono stati i primi ad affossare la possibilità di uno stato palestinese e, con l’ideologia panaraba e antisionista, si sono lanciati in una serie di guerre per l’eliminazione di Israele uscendone a pezzi.
Così i loro regimi illiberali, spesso corrotti e perlopiù fallimentari – per cercare un nemico esterno da additare alle folle fanatizzate – hanno alimentato l’odio anti-israeliano e anti-occidentale, ancor più forte quanto più il nostro modello di vita e di benessere è da quei popoli agognato.
Odio che – dopo la rivoluzione sciita iraniana degli anni Settanta – si è espresso in una rinascita dell’islamismo fondamentalista.
Il vero problema è il mancato appuntamento dei paesi arabi e islamici con la democrazia e il riconoscimento dei diritti dell’uomo. E il mancato appuntamento dell’Islam con il ripudio di ogni violenza.
L’invito del Papa ad Assisi è l’altra faccia di Ratisbona: il tentativo da parte dei cristiani di aiutare chi vuole liberare il sentimento religioso, che si esprime nelle varie religioni, dalla violenza e dall’intolleranza.
Un’ultima nota: il titolo dell’articolo di Messori era “Le radici dell’odio contro i cristiani”. Ma i cristiani sono stati odiati, perseguitati e massacrati, negli ultimi duecento anni, sotto tutti i regimi e le ideologie. E lo sono tuttora, per esempio in tutti i regimi comunisti.
Dunque la “radice dell’odio” non può essere nell’esistenza di Israele. E Messori lo sa. Allora perché non dirlo? Perché scrivere editoriali di quel genere?
(di Antonio Socci- tratto da Libero del 08/01/2011)

08 gennaio 2011

La profezia di Oriana

Un passo del libro profetico "La rabbia e l’orgoglio" (Bur) scritto da Oriana Fal­laci nel 2001: "E' in atto una Crociata all’inverso. Abituati al politically correct non capite che è in corso una guerra. Cannoneggiate dalla nostra debolezza e cecità, le mura delle nostre città sono già cadute"

"...Sveglia, gente, sveglia! Intimi­diti come siete dalla paura d’andar contro corrente op­pure d’apparire razzisti, (pa­rola oltretutto impropria per­ché il discorso non è su una razza, è su una religione), non capite o non volete capire che qui è in atto una Crociata all’Inverso. Abituati come siete al doppio gioco, accecati come siete dalla miopia e dalla cretineria dei Politically Correct, non capite o non volete capire che qui è in atto una guerra di religione. Voluta e dichiarata da una frangia di quella religione forse, (forse?), co­munque una guerra di religione. Una guerra che essi chiamano Jihad, Guerra Santa. Una guerra che forse non mira alla conquista del nostro territorio, (forse?), ma che certamente mira alla conquista delle nostre anime: alla scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà, all’annientamento del nostro modo di vivere e di morire, del nostro modo di pregare o non pregare, del nostro modo di mangiare e bere e vestirci e divertirci e informarci... Non capite o non volete capire che se non ci si oppone, se non ci si difende, se non si combatte, la Jihad vincerà. E distruggerà il mondo che bene o male siamo riusciti a costruire, a cambiare, a migliorare, a rendere un po’ più intelligente cioè meno bigotto o addirittura non bigotto. Distruggerà la nostra cultura, la nostra arte, la nostra scienza, la nostra morale, i nostri valori, i nostri piaceri...

Cristo! Non vi rendete conto che gli Osama Bin Laden si ritengono autorizzati a uccidere voi e i vostri bambini perché bevete il vino o la birra, perché non portate la barba lunga o il chador anzi il burkah, perché andate al teatro e al cinema, perché ascoltate la musica e cantate le canzonette, perché ballate nelle discoteche o a casa vostra, perché guardate la televisione, perché portate la minigonna o i calzoncini corti, perché al mare o in piscina state ignudi o quasi ignudi, perché scopate quando vi pare e dove vi pare e con chi vi pare? Non v’importa neanche di questo, scemi? Io sono atea, graziaddio. Irrimediabilmente atea. E non ho alcuna intenzione d’esser punita per questo da barbari che invece di lavorare e contribuire al miglioramento dell’umanità se ne stanno col sedere all’aria cioè a pregare cinque volte al giorno. Da vent’anni lo dico, da vent’anni. Con una certa mitezza e non con questa collera, con questa passione, vent’anni fa su tutto ciò scrissi un articolo di fondo.

Era l’articolo di una persona abituata a stare con tutte le razze e tutti i credi, d’una cittadina abituata a combattere tutti i fascismi e tutte le intolleranze, d’una laica senza tabù. Ma nel medesimo tempo era l’articolo d’una persona indignata con chi non sentiva il puzzo d’una Guerra Santa a venire, e ai figli di Allah gliene perdonava un po’ troppe. Feci un ragionamento che anche allora suonava pressappoco così: «Che senso ha rispettare chi non rispetta noi? Che senso ha difendere la loro cultura o presunta cultura quando essi disprezzano la nostra? Io voglio difendere la nostra, e v’informo che Dante Alighieri e Shakespeare e Molière e Goethe e Walt Whitman mi piacciono più di Omar Khayyam». Apriti cielo. Mi mangiarono viva. Mi esposero alla pubblica gogna, mi crocifissero.

«Razzista, razzista!». Furono le cicale di lusso anzi i cosiddetti progressisti (a quel tempo si chiamavano comunisti) a crocifiggermi. Del resto l’insulto razzista- razzista me lo presi anche quando i sovietici invasero l’Afghanistan. Li ricordi i barbuti con la sottana e il turbante che a ciascun colpo di mortaio gridavano le lodi del Signore cioè il bercio Allah akbar, Dio-è-grande, Allah-akbar? Io li ricordo eccome. E a sentir accoppiare la parola Dio al colpo di mortaio, mi venivano i brividi. Mi pareva d’essere nel Medioevo e dicevo: «I sovietici sono quello che sono. Però bisogna ammettere che a far quella guerra proteggono anche noi. E li ringrazio». Riapriti cielo. «Razzista, razzista!». Nella loro cecàggine non volevan neanche sentirmi parlare delle mostruosità che i figli di Allah commettevano sui militari sovietici fatti prigionieri. Ai militari sovietici segavano le gambe e le braccia, rammenti? Un vizietto cui s’erano già abbandonati in Libano coi prigionieri cristiani ed ebrei. (Né è il caso di meravigliarsi, visto che nell’Ottocento lo facevano sempre ai diplomatici e agli ambasciatori. Soprattutto inglesi. Anzi a loro tagliavano anche la testa, e con questa giocavano a buskachi. Una specie di polo.

Le gambe e le braccia, invece, le esponevano come trofei nelle piazze o al bazaar). Tanto che gliene importava, alle cicale di lusso, d’un povero soldatino ucraino che giaceva in un ospedale con le braccia e le gambe segate? Nel loro cinismo applaudivano addirittura gli americani che, rincretiniti dalla paura dell’Unione Sovietica, riempivan di armi l’eroico-popolo-afgano. Addestravano i barbuti e coi barbuti (Dio li perdoni, io no) un barbutissimo di nome Osama Bin Laden. «Via i russi dall’Afghanistaaan! I russi devono andarsene dall’Afghanistaaan!». Bè, i russi se ne sono andati. Contenti?E dall’Afghanistan i barbuti del barbutissimo Osama Bin Laden sono arrivati a New York con gli sbarbati siriani, egiziani, iracheni, libanesi, palestinesi, sauditi, tunisini, algerini, insomma coi diciannove che componevano la banda dei kamikaze identificati. Contenti? (...)

Da quando i nostri nemici ci hanno regalato l’Undici Settembre, le cicale non si stancano mai di ripetere che i mussulmani sono una cosa e i fondamentalisti o integralisti mussulmani un’altra. Che il Corano ha molte versioni, che viene letto con molte interpretazioni, ma in ogni sua versione ed interpretazione predica la pace e la fratellanza e la giustizia. (Lo dice anche Bush. Per tenersi buoni i suoi cinque milioni di americani arabo-mussulmani, suppongo. Per indurli a spifferare quel che sanno su eventuali parenti o amici devoti a Osama Bin Laden. Povero Bush). Ma in nome della logica: se il Corano è tanto fraterno e tanto pacifico, come la mettiamo col fatto che il Profeta fosse uno spietato guerriero e quindi un uomo tutt’altro che fraterno e pacifico? Come la mettiamo col fatto che avesse personalmente guidato ventisette battaglie, personalmente sgozzato settecento nemici, personalmente incendiato tre città? Come la mettiamo col fatto che i suoi avversari li liquidasse come un capo mafioso, che i suoi rivali li eliminasse con atrocità da rabbrividire? (...) Come la mettiamo col fatto che il Corano predichi senza sosta la Guerra Santa, che i paesi dove non regna l’Islam li definisca «Dar al-Harb» cioè Terra-da-conquistare?

Come la mettiamo col fatto che i non-mussulmani li chiami cani-infedeli, che li tratti da inferiori anche se si convertono, che lungi dal raccomandare un qualsiasi perdono imponga la legge dell’Occhio-per-Occhio-e-Dente-per-Dente, che tale legge la consideri il Sale della Vita? Come la mettiamo con la faccenda del chador o meglio del burkah che copre le donne dalla testa ai piedi, volto compreso, sicché per vedere quel che c’èal di là di quel sudario una disgraziata de-ve guardare attraverso la fittissima rete posta all’altezza degli occhi? Come la mettiamo con la faccenda della poligamia ossia delle quattro mogli (però su speciale dispensa dell’Arcangelo Gabriele il Profeta ne aveva sedici), o con la faccenda degli harem dove le concubine e le schiave vivono a mo’ di prostitute nei bordelli? Come la mettiamo con la storia delle adultere lapidate o decapitate, e della pena capitale per chi beve alcool? Come la mettiamo con la legge sui ladri a cui il Corano ingiunge di tagliar la mano, al primo furto la sinistra, al secondo furto la destra, al terzo non so cosa però mi pare che al terzo il castigo consista nel bucare le pupille con un ferro rovente? Cito a caso, affidandomi alla memoria. Certo il Sacro Libro offre esempi ancora più gravi. Nondimeno questi bastano, e non mi sembra che esprimano pace e fratellanza e misericordia e giustizia. Non mi sembra nemmeno che esprimano intelligenza.

E a proposito d’intelligenza: è vero che gli odierni santoni della Sinistra o di ciò che chiamano Sinistra non vogliono udire ciò che dico? È vero che a udirlo danno in escandescenze, strillano inaccettabile-inaccettabile? Si son forse convertiti tutti all’Islam e anziché le Case del Popolo ora frequentano le moschee? Oppure strillano così per compiacere il Papa che su certe cose apre bocca solo per chiedere scusa a chi gli rubò il Santo Sepolcro? Boh! Lo zio Bruno aveva ragione a dire che l’Italia non ha avuto la Riforma ma è il paese che ha vissuto più intensamente la Controriforma. (...) Oh, sì, mio caro. La Crociata all’Inverso, la Crociata dei nuovi Mori dura da tempo. È ormai irreversibile e per avanzare non ha bisogno di eserciti che a colpi di bombarda abbattono le mura di Costantinopoli. Cannoneggiate dalla nostra misericordia, dalla nostra debo-lezza, dalla nostra cecità, dal nostro masochismo, le mura delle nostre città sono già cadute: l’Europa sta già diventando una gigantesca Andalusia. Per questo i nuovi Mori con la cravatta trovano sempre più complici, fanno sempre più proseliti.

Per questo diventano sempre di più, pretendono sempre di più, ottengono sempre di più, spadroneggiano sempre di più. E se non stiamo attenti, se restiamo inerti, troveranno sempre più complici. Diventeranno sempre di più, pretenderanno sempre di più, otterranno sempre di più, spadroneggeranno sempre di più. Fino a soggiogarci completamente. Fino a spengere la nostra civiltà. Ergo, trattare con loro è impossibile. Ragionarci, impensabile. Cullarci nell’indulgenza o nella tolleranza o nella speranza, un suicidio. E chi crede il contrario è un illuso...".

03 gennaio 2011

Laiche ragioni della libertà religiosa


Il ventunesimo secolo o sarà religioso, o non sarà per nulla». Non so se l’agnostico André Malraux volesse fare una profezia e con che spirito pronunciò questa frase, ma credo che oggi Benedetto XVI ne sottoscriverebbe la lettera.
Soprattutto dopo l’escalation degli attacchi omicidi contro i cristiani in varie parti del mondo, l’ultimo contro una chiesa copta ad Alessandria d’Egitto. Il Papa il suo nome sotto quell’affermazione l’ha di fatto già messo firmando il suo messaggio per la giornata mondiale della pace che si è celebrata ieri. Il titolo è inequivocabile: “Libertà religiosa, via per la pace”. L’alternativa, per Joseph Ratzinger, è secca: o una vera libertà religiosa o una «minaccia alla sicurezza, alla pace» che comporta la rinuncia a «un autentico sviluppo umano integrale». Il Papa lo dice sin dall’inizio del suo pontificato: l’alternativa alla libertà religiosa - che implica l’espressione pubblica della fede e il riconoscimento del ruolo della religione nell’agorà culturale, civile e politica - è una sottomissione sempre più grave dell’uomo al potere; una «visione riduttiva della persona umana» che genera «una società ingiusta perché non proporzionata alla vera natura della persona».
Se la vita di ogni singola persona non ha senso, non ha senso neanche la condanna della sua uccisione. Se non esiste una verità che dia significato all’esistenza singola e sociale, non ha verità la condanna degli attentati contro la libertà di ricercare questa verità. E infatti queste condanne, soprattutto quando si tratta di violenze contro i cristiani - «attualmente il gruppo religioso che soffre il maggior numero di persecuzioni a motivo della propria fede» (Benedetto XVI) -, giungono sempre meno, hanno spesso il sapore del dovuto, quando la particolare efferatezza o le dimensioni dell’attacco non permettono l’indifferenza, ormai il triste tratto distintivo delle coscienze occidentali verso i loro progenitori spirituali e culturali.
Iraq, Cina, Pakistan, Egitto, Indonesia, Sudan, Nigeria, Turchia, India, Vietnam... l’elenco delle «regioni del mondo in cui non è possibile professare ed esprimere liberamente la propria religione, se non a rischio della vita e della libertà personale» sta diventando tragicamente lungo. Ed è laicamente insopportabile che dei credenti - come ha detto Papa Ratzinger nel suo discorso all’Assemblea generale dell’Onu il 18 aprile 2008 - «debbano sopprimere una parte di se stessi - la loro fede - per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti».
Sento già l’obiezione: la mano assassina contro i cristiani è armata da un altro Dio. È l’alibi di chi si professa campione del dialogo e non si accorge quando il dialogo avviene davvero. Sono frutto anche degli incontri di Assisi queste parole di Giovanni Paolo II per la Giornala mondiale della pace del 2002: «Il fanatismo fondamentalista è un atteggiamento radicalmente contrario alla fede in Dio. A ben guardare il terrorismo strumentalizza non solo l’uomo, ma anche Dio, finendo per farne un idolo di cui si serve per i propri scopi... Nessun responsabile delle religioni, pertanto, può avere indulgenza verso il terrorismo e, ancor meno, lo può predicare. È profanazione della religione proclamarsi terroristi in nome di Dio, far violenza all’uomo in nome di Dio». Non è nell’atteggiamento religioso la radice della volontà dell’eliminazione dell’altro (anche se per questa consapevolezza è stata necessaria la purificazione della storia), semmai nell’ideologia, come il secolo scorso ci ha drammaticamente documentato.
Ora, torna a ripetere Benedetto XVI, l’idolo contemporaneo si presenta con «due tendenze opposte, due estremi entrambi negativi: da una parte il laicismo, che, in modo spesso subdolo, emargina la religione per confinarla nella sfera privata; dall’altra il fondamentalismo, che invece vorrebbe imporla a tutti con la forza. In realtà, “Dio chiama a sé l’umanità con un disegno di amore che, mentre coinvolge tutta la persona nella sua dimensione naturale e spirituale, richiede di corrispondervi in termini di libertà e di responsabilità, con tutto il cuore e con tutto il proprio essere, individuale e comunitario”. Là dove si riconosce effettivamente la libertà religiosa, la dignità della persona umana è rispettata nella sua radice e, attraverso una sincera ricerca del vero e del bene, si consolida la coscienza morale e si rafforzano le stesse istituzioni e la convivenza civile. Per questo la libertà religiosa è via privilegiata per costruire la pace» (Angelus del 1° gennaio 2011). Capisco che queste parole suonino ostiche a molte orecchie occidentali, ma - per tornare a Malraux - non è e non sarà il relativismo culturale e morale o l’indifferenza verso la dimensione trascendente dell’uomo ciò che può fermare il fondamentalismo.
La dignità e la libertà della persona possono trovare fondamento solo nella sua dimensione trascendente. Se il singolo è totalmente determinato dai suoi antecedenti biologici, sociali o culturali, diventa di proprietà di chi possiede o sa determinare questi fattori: in ultima istanza il potere. Sia quello dei genitori, o della biotecnologia, o della politica. E non ha ragioni ultime per opporsi. Non ha dalla sua un diritto inalienabile da contrapporre all’allora inevitabile legge del più forte. C’è solo un caso in cui l’essere umano può invocare la sua insopprimibile libertà: il suo essere direttamente in rapporto con un fattore esterno al mondo, alla situazione storica, alle condizioni sociali. Il Papa parla di «apertura al Mistero», l’essenza di ogni religione. Non è casuale che ogni totalitarismo, più o meno esplicito, abbia sempre perseguitato la religione, incominciando col censurare la sua espressione pubblica.
Allora, la politica e la diplomazia, dice in sintesi il Papa, non possono essere indifferenti alla verità morale, anzi, debbono «promuoverla». Che cosa questo voglia dire viene ben declinato nel suo messaggio: «Vuol dire agire in maniera responsabile sulla base della conoscenza oggettiva e integrale dei fatti; vuol dire destrutturare ideologie politiche che finiscono per soppiantare la verità e la dignità umana e intendono promuovere pseudo-valori con il pretesto della pace, dello sviluppo e dei diritti umani; vuol dire favorire un impegno costante per fondare la legge positiva sui principi della legge naturale. Tutto ciò è necessario e coerente con il rispetto della dignità e del valore della persona umana, sancito nella Carta delle Nazioni Unite del 1945».
(di Ubaldo Casotto- tratto da "Il Riformista" del 02/01/2011")

02 gennaio 2011

Il potere contro i cristiani


Sembra essere diventata una terribile abitudine quella di un Natale di sangue per le comunità cristiane nel Mondo: la sera del 24 dicembre 2010, la Nigeria è stata il teatro di un nuovo inquietante episodio della cristianofobia. I “talebani” nigeriani hanno assaltato chiese cristiane in almeno tre città del paese africano, uccidendo non meno di 80 persone.
La regione nordorientale di Jos, già di recente luogo di scontri tra etnie diverse, è una zona molto povera, dove la tensione stratificata nel corso di decenni di risentimenti tra i gruppi autoctoni, per lo più cristiani o animisti, sta pesantemente aumentando a causa della prepotenza dei migranti e dei coloni provenienti dal nord musulmano.
Uno di questi gruppi è il movimento fondamentalista xenofobo, molto attivo dal 2004 nella area di Maiduguri, nella Nigeria nordorientale. Si tratta di un movimento populista composto per gran parte di giovani disoccupati e non istruiti che non parlano inglese ma solo arabo e la lingua locale chiamata hausa. Sono contrari alla Costituzione e allo stato federale e si battono per uno stato islamico puro secondo criteri di drammatica violenza urbana.
Il gruppo sottolinea la validità di una violenza dissacrante a tuttotondo che prende di mira tutto ciò che ha a che fare con l’Occidente, ad esempio i libri dell’Occidente, ma anche l’abbigliamento, la religione e la laicità dell’Occidente, nonché la democrazia e il capitalismo industriale.
In Nigeria il cristianesimo è una realtà molto viva e radicata nella società. Molto influenti sono, infatti, alcune associazioni di chiese cristiane evangeliche battiste e pentecostali. Religione e politica sono da sempre connesse in Nigeria: c’è grande competizione tra le chiese protestanti e le diverse correnti islamiche, moderate e integraliste, che sono in perenne lotta per il potere. L’Islam fondamentalista si batte contro il monopolio religioso degli ordini Sufi, i grandi ordini mistici della Nigeria. I cristiani per loro rappresentano l’Occidente e la democrazia. Il loro obiettivo è l’imposizione a tutti della Sharia, che è già applicata in 12 stati nel nord della Nigeria con conseguenze devastanti per i diritti umani della popolazione.
In Terrasanta, dove mi sono recato nei giorni scorsi proprio per dare sostegno ideale alle comunità cristiane perseguitate, ho incontrato parecchi pellegrini nigeriani: il loro timore è proprio che si possa arrivare alla sharia imposta ai non islamici.
I cristiani sono vittime, come accade in gran parte del mondo, di un vero e proprio progetto di potere. Negli ultimi cinque anni, le persone uccise per odio religioso sono quasi sempre cristiane: tre su quattro, secondo un recente studio Osce.
La Nigeria è uno dei paesi più importanti della dell’Africa subsahariana: è membro del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, è un paese produttore di petrolio a livello globale, detiene un ruolo guida in seno alla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Eecowas), è uno dei paesi che contribuiscono maggiormente alle operazioni di mantenimento della pace, nonché un fattore di stabilizzazione nell’Africa occidentale.
Per tutte queste ragioni la stabilità e la democrazia del paese rivestono una grande importanza direttamente oltreconfine: gli effetti della crescente violenza in Nigeria potrebbero essere devastanti anche per le comunità cristiane dei paesi limitrofi, ma anche per il già lento sviluppo economico dell’intera regione.
Se questi attacchi dovessero continuare nell’indifferenza delle autorità nigeriane, sarebbe indispensabile per l’Ue sospendere gli effetti dell’accordo di Cotonou finalizzato allo sviluppo dei paesi Acp per questo paese. Non può esserci, infatti, sviluppo economico a discapito dei diritti umani. Considerando che l’Unione europea è uno dei donatori finanziari principali per la Nigeria (il 12 novembre 2009, ad esempio, la Commissione europea e il governo federale della Nigeria hanno sottoscritto il documento strategico per paese e il programma nazionale indicativo per il periodo 2008-2013 per la Nigeria, in virtù dei quali l’Ue finanzierà progetti intesi, tra l’altro, a garantire la pace, la sicurezza e i diritti umani), l’Alto Rappresentante della politica estera Ue, Catherine Ashton, deve lanciare un preciso segnale di monito nei confronti del governo nigeriano. In Nigeria, come in India, Pakistan, Cina, Iraq, Iran, e molti altri paesi, rapporti economici e aiuti vanno vincolati alle garanzie di tutela delle minoranze, religiose ed etniche.

(di Mario Mauro- Capogruppo PDL al Parlamento Europeo)